Indice
- 1 Sensibilità del pellet a clima e umidità
- 2 Scelta fra ricovero interno e riparo esterno: valutare i pro e i contro
- 3 Preparare il deposito interno: pavimento, pareti e micro-clima
- 4 Costruire un ricovero esterno: dal basamento allo strato di protezione
- 5 Gestione stagionale: rotazione delle scorte e ordine dei sacchi
- 6 Sicurezza antincendio e rispetto delle norme locali
- 7 Problemi ricorrenti e segnali d’allarme
- 8 Conclusione: il deposito ideale come investimento energetico
Sensibilità del pellet a clima e umidità
L’autunno e l’inverno portano nebbie e giornate umide, con differenze di temperatura piuttosto accentuate fra ore diurne e notturne. In simili condizioni l’acqua contenuta nell’aria tende a condensare facilmente sulle pareti fredde dei locali non riscaldati. Se i sacchi di pellet vengono appoggiati direttamente su un pavimento cementizio o a ridosso di muri esterni, il rischio che si formi umidità di risalita o condensa a gocce è concreto. Il primo requisito di un buon deposito, quindi, è essere al riparo da punti di contatto freddi non isolati, preferibilmente all’interno di uno spazio in cui la temperatura non scenda troppo sotto i dieci gradi e non superi stabilmente i venticinque, valori entro i quali il vapore acqueo dell’aria resta in equilibrio senza trasformarsi in acqua liquida.
Scelta fra ricovero interno e riparo esterno: valutare i pro e i contro
In linea di principio conservare il pellet all’interno è l’opzione più sicura: un garage con finestra a vasistas o una cantina dotata di bocca d’aria sono spesso ideali, a patto che siano ambienti asciutti. Non è tanto la presenza di finestre a decretare l’idoneità quanto la capacità del locale di restare ventilato e isolato dal suolo. Allo stesso tempo alcune abitazioni non dispongono di metrature sufficienti e costringono a valutare soluzioni esterne. In tal caso diventa indispensabile creare un micro-ambiente protetto all’interno di un box o vano in legno opportunamente sollevato da terra, con copertura impermeabile a falda inclinata e pareti che permettano comunque la circolazione dell’aria. Un comune armadio da giardino in resina può andare bene, se si ha cura di sollevare ogni sacco su bancali di plastica o listoni di legno trattato e di distanziarlo dalle pareti laterali di qualche centimetro, così da scongiurare la formazione di punti freddi in cui il vapore possa condensare.
Preparare il deposito interno: pavimento, pareti e micro-clima
Quando si sceglie l’interno, la prima operazione consiste nel disaccoppiare fisicamente il pellet dal pavimento. Un bancale integro, magari rivestito con un foglio di cartone idrorepellente o con un tappetino in gomma a nido d’ape, crea la distanza sufficiente per impedire che eventuali infiltrazioni o la semplice traspirazione del calcestruzzo raggiungano i sacchi. Le pareti del locale dovrebbero essere esposte il meno possibile a ponti termici: se una parete confina con l’esterno e si raffredda, meglio disporre uno strato di polistirene o di pannelli in fibra di legno dietro al bancale, lasciando una piccola intercapedine di aria. La ventilazione, infine, è il fattore che evita l’accumulo di umidità: una ventolina a basso consumo collegata a un igrostato può accendersi automaticamente quando l’umidità relativa supera il sessanta per cento, valori che nella bassa val Chisone e nel torinese non sono insoliti nei mesi nebbiosi.
Costruire un ricovero esterno: dal basamento allo strato di protezione
Se il pellet deve rimanere fuori, la tecnica più rassicurante consiste nel realizzare una pedana rialzata di almeno dieci centimetri rispetto al terreno, servendosi di tubolari metallici zincati o travetti in legno impregnato in autoclave su cui appoggiare il bancale. Sopra di esso si può montare una piccola casetta, anche prefabbricata, con tetto a doppia falda e griglie anticondensa sui due fronti contrapposti. Il rivestimento ideale è in legno o lamiera con coibentazione interna sottile, perché il metallo nudo rischia di raffreddarsi troppo nelle notti serene e creare gocce d’acqua all’interno. Molti scelgono teloni in PVC per coprire i sacchi: funzionano solo se disposti a “tettoia” e mai a contatto diretto con la plastica del pellet; quando il telone aderisce, il salto termico tra esterno ed interno governa la formazione di condensa e le goccioline finiscono per stagnare sui sacchi, generando muffe. Meglio allora prevedere una contro-copertura rigida (tavole o pannelli OSB) che funzioni da camera d’aria.
Gestione stagionale: rotazione delle scorte e ordine dei sacchi
Una volta trovato il posto giusto, la corretta conservazione si gioca nella rotazione del prodotto. Il pellet acquistato in tarda primavera o inizio estate arriverà a novembre con un’umidità interna ancora perfetta, ma quello comprato l’inverno precedente, se lasciato sul fondo, potrebbe iniziare a cedere. Occorre allora seguire un criterio “first in, first out” prelevando sempre i sacchi più anziani e spostando quelli nuovi dietro o sotto solo dopo avere verificato che non presentino gonfiori o polvere anomala. Allo stesso modo conviene non stipare i sacchi uno sopra l’altro oltre l’altezza di un metro e mezzo: il peso esercitato dalla colonna superiore tende a comprimere i cilindretti negli strati inferiori, riducendone la friabilità e aumentando la produzione di segatura.
Sicurezza antincendio e rispetto delle norme locali
Il pellet è combustibile e come tale deve essere custodito lontano da fonti di calore intenso, trasformatori elettrici, quadri, saldatrici e veicoli con motore a benzina ancora caldo. La normativa nazionale non impone regole stringenti per piccoli stoccaggi domestici, ma alcuni regolamenti comunali prevedono distanze minime da caldaie e camini. In Piemonte, ad esempio, vale la raccomandazione di mantenere almeno tre metri di separazione dai generatori di calore non protetti da pareti. Per depositi superiori ai cinquanta quintali, il Codice di prevenzione incendi suggerisce di predisporre un estintore a base d’acqua nebulizzata o a polvere ABC nelle vicinanze. Sebbene i quantitativi familiari siano più contenuti, tenere un estintore da sei chili in garage o accanto alla porta del locale caldaia resta buona prassi.
Problemi ricorrenti e segnali d’allarme
Se all’apertura di un sacco si notano pellet schiacciati o trasformati in polvere finissima, è segno che l’umidità ha ammorbidito la lignina agglutinante. Un lieve odore di muffa indica la stessa direzione. Il pellet che ha assorbito acqua non solo rende di meno in termini di potere calorico, ma può gonfiarsi nel serbatoio della stufa causando intasamenti e combustione irregolare. Di fronte a sacchi compromessi è preferibile destinarli a usi meno delicati, per esempio come materiale assorbente o per compostaggio, piuttosto che rischiare il blocco dell’impianto.
Conclusione: il deposito ideale come investimento energetico
Conservare bene il pellet equivale, in un certo senso, a “stoccare calorie” per l’inverno. L’investimento di qualche ora nel predisporre un locale ventilato o nel realizzare un ricovero esterno isolato è ripagato da una combustione efficiente, pulita e da minori interventi di manutenzione sulla stufa. Nelle zone di pianura umide, la sfida principale è tenere lontana l’acqua in tutte le sue forme: pioggia, condensa, risalita capillare. Sollevare i sacchi da terra, isolare le pareti fredde, garantire ricambio d’aria e ruotare periodicamente le scorte sono i quattro pilastri di una strategia vincente. In questo modo il pellet manterrà l’integrità originaria, sprigionando quel potere calorifico per cui è stato scelto e rendendo l’inverno più confortevole e, soprattutto, più economico.